Il Video Marketing cercherà di metterti su un piedistallo, sotto ai riflettori, con una medaglia al collo, un mazzo di fiori in una mano e un gattino nell'altra.
Ma se è vero che non è tutto oro quel che luccica, è anche vero che non tutti i consumatori bramano l'oro.
Video Marketing Wars: il Mulino Bianco contro le Superga
È il 1996. Una bella famiglia in cui tutti indossano abiti chiari, sicuramente di cotone biologico (oggi diremmo così, all’epoca si poteva ancora mettere il mercurio nei termometri), sorridono.
Dalle grandi finestre con tende bianche, sempre in cotone biologico ante litteram, entra la luce.
Se non fosse che le casse scadenti delle nostre tv a tubo catodico non ce la potevano fare, avremmo potuto udire che fuori dalle finestre non c’era il silenzio, ma il cinguettio degli uccellini e il frinire dei grilli, perché questo è il mulino ovviamente bianco
.
Mamma, papà, un bambino.
Parlano di biscotti.
Una volta sono i Tarallucci, una volta sono le Macine, una volta gli Abbracci.
Il papà o sta a casa a parlare di biscotti o va al lavoro vestito come chi faceva un “bel lavoro” d’ufficio dell’epoca, ha la giacca e una valigetta.
La cinepresa si muove lenta. Tutti ancora lì a sorridere.
Non c’è eros, non c’è pathos, non c’è dinamica, non c’è conflitto.
È tutto molto buono e riposante.
È ancora il 1996, ma siamo a Londra.
Le casse del nostro tubo catodico sono il non plus ultra per godersi i graffi sonori di Firestarter dei Prodigy.
Anche qui c’è molto bianco, ma più che altro perché sono fotogrammi crudi ad alto contrasto, in bianco e nero.
Scontri di strada, animalisti, polizia a cavallo, barili in fiamme, macchine che esplodono.
I manifestanti sono a volto coperto, molti mascherati da animali, un ragazzo indossa solo una maschera da cavallo, anfibi e un tanga leopardato e sfida il fronte antisommossa con gesti provocanti e provocatori.
Il cameraman uscirà vivo per miracolo da questo spot perché tutti si picchiano duro.
Lacrimogeni, manganelli, idranti, cani feroci, flash dai laboratori con animali straziati.
L’unica capsula di sicurezza è l’auto che sfila lenta attraverso la rivolta, al suo interno un magnate di qualche industria chimica che al massimo della sua emotività si scoccerà per il ritardo.
Il final plot twist è così potente che lo spot è da vedere e basta.
Nessuno parla, tutti si muovono per fare male, ringhiano, urlano, ma le voci e le urla sono coperte da Keith Flint che dice “sono un piromane, un piromane contorto”.
Il conflitto è a tutti i livelli, industria versus animali, polizia versus manifestanti, ricchi versus poveri, la famiglia è una farsa che viene devastata. Davvero o le ami o le odi, ste scarpe.
E anche se le odi non te le togli dalla testa così in fretta, perché è il 1996 e di solito guardi Pippo Baudo.
A vedere una cosa del genere ti alzi dalla poltrona col batticuore, perché Superga ha fatto la cattiva in un modo così nuovo e brutale che non te la dimenticherai.
Questa pubblicità piace perché, al contrario dell’appiattimento delle emozioni visto prima, esaspera il conflitto, è grevemente carnale, struggente e fisica, psicologicamente estenuante.
Se nella famiglia del Mulino Bianco l’unico bacio è dato sulla fronte e al massimo ci si abbraccia, lo senti che dopo i riot delle Superga ci si ama da eroi, col cuore in gola.
Non importa che se ne parli bene o male. L’importante è che se ne parli. Really?
Oscar Wilde aveva già deciso che non esiste una cattiva pubblicità.
Quando una parola come una freccia dall’arco scocca e corre veloce di bocca in bocca, è fatta.
Uscendo dall’emotività stimolata a tavolino dal video marketing, andiamo verso la vox populi, ove più ferve l’opera dell’uomo (comune).
Ci sono prodotti che sono stati denigrati a livello popolare.
Vediamo lo stato dell’arte, con tre prodotti che hanno subito destini diversi.
Sei brutto come la Multipla.
Il caso del modello Fiat Multipla ha fatto storia. Dopo che la sua monovolume è stata giudicata così poco aderente ai canoni estetici, Fiat ha raccolto la sfida.
La prima pubblicità della Multipla aveva come testimonial Schumacher, che interrompeva una cena al ristorante e usava gli arredi e i facoltosi commensali per esaltare le dimensioni interne della monovolume.
Niente di così nuovo.
La pubblicità della Nuova Multipla invece aveva uno slogan secco: “Sarete belli voi”. Fine, ha vinto.
Le penne lisce MAI.
All’inizio di marzo 2020 l’Italia ha conosciuto la corsa all’accaparramento dei viveri.
Supermercati svuotati, gente che si arrende dopo ore di coda, agli ultimi le briciole.
La foto di uno scaffale vuoto, tranne che per le penne lisce, ha fatto il giro del web diventando virale.
C’è chi aspetta con curiosità la contromossa di Barilla, che per ora ha subito un battage ininfluente perché non ha avuto seguiti concreti, ma può rivelarsi l’occasione di una risposta sorprendente.
Birra Corona(virus).
L’ultimo caso è ancora legato alla pandemia, ed è il caso della birra col nome più sfortunato del 2020: la birra Corona.
Il 3 aprile 2020, il suscettibile e discutibile consumatore medio statunitense ha portato il colosso messicano ad interrompere per due settimane la produzione della birra corona, perché il mercato nordamericano ha subito una flessione del 40%.
La causa? Il nome della birra Corona ricorda troppo il Coronavirus.
La ricerca della keyword “birra corona e coronavirus” è entrata nel trend topic delle ricerche più effettuate.
Non è ancora detta l’ultima parola, ma il caso è emblematico: non è sempre vero che “basta che se ne parli”.
L'incidente di Casiraghi e i cigni neri del Video Marketing
Nel 1990, Stefano Casiraghi, marito della principessa Carolina di Monaco, ha un’incidente mortale durante i campionati del mondo offshore a Montecarlo.
Il catamarano guidato da Casiraghi era il Pinot di Pinot.
Il brand aveva infatti sponsorizzato la skin del catamarano e la scritta era ben visibile lungo tutta la fiancata, venendo valorizzata dalle inquadrature principali della competizione.
Il secondo sponsor non veniva mai menzionato: Diesel Jeans.
Il logo Diesel occupava una porzione secondaria dello scafo e non era ben visibile durante la competizione, perché posizionato ai lati della prua e sulla coperta (la parte anteriore centrale) che difficilmente viene inquadrata.
Quando il catamarano di Casiraghi affonda, si immerge di poppa e le riprese inquadrano i tragici tentativi di soccorso per interminabili minuti.
Il pilota sott’acqua, la principessa a Parigi non sa ancora nulla, i soccorsi incapaci di agire per il maltempo.
Nell’ora seguente, purtroppo Casiraghi non c’è più, i soccorritori non ci sono, la Pinot di Pinot c’è ma è invisibile.
Per tutta quella lunga ora gli spettatori vedono solo la parte di imbarcazione che emerge per una porzione che nessuno aveva mai visto prima, quella dello slogan più povero: Diesel. Diesel. Diesel. Diesel.
Ogni secondo per tremilaseicento secondi.
Una disgrazia, un cigno nero.
I cigni neri sono quegli eventi imprevedibili che possono portare a grandi vantaggi casuali.
In questo caso, il cigno nero è stato dato dall’imprevedibilità dell’incidente e dalla imprevedibilità della posizione dell’imbarcazione al momento dell’affondamento.
Nel 1990, al netto degli ammortamenti e accantonamenti per le imposte, Diesel raddoppia gli utili rispetto al 1989.
Se non è possibile quantificare l’impatto del cigno nero Diesel-Casiraghi, è tangibile il suo effetto tendenziale.
Nonostante si sia trattato di un evento tragico, “cattivo”, il brand è riuscito a non soccombere, riportando anzi grandi benefici economici.
Non si può contare sui cigni neri e non si può eticamente basare il video marketing sulle disgrazie: il caso fortuito di Casiraghi è però un esempio di come possa esistere un vantaggio anche in condizioni estreme.
Chi sono i cattivi nei film?
Per fare degli esempi utili per tutti, utilizziamo delle figure iconiche. L’American Film Institute ha stilato un lista di figure che si chiama “AFI’s 100 Years… 100 Heroes & Villains” che racchiude un secolo di opere cinematografiche classificando i 100 eroi e i 100 cattivi migliori degli ultimi 100 anni.
Non andiamo nemmeno a guardare i cattivi, ché il gioco sarebbe troppo facile.
Proviamo piuttosto a fare un gioco: ribaltiamo la prospettiva con cui guardiamo i buoni, gli eroi.
Al primo posto abbiamo Atticus Finch, l’avvocato vedovo del Buio oltre la siepe.
È un buono? No. È un ribelle, quindi un personaggio anti sistema, il che nella narrazione facilmente condivisibile del dissenso ne fa automaticamente un eroe.
Ma, rovesciando il punto di vista, è un lavativo che non fa quel passo in più per salvare il suo cliente dalla morte, che poi è l’unica cosa che doveva fare nel film.
Al secondo posto abbiamo Indiana Jones.
Un eroe? Proviamo a vederlo come un donnaiolo iracondo che compie una serie di omicidi in ogni continente.
Come un figlio rancoroso che accusa il padre di non averlo compreso, quando è poi egli stesso un seduttore evanescente.
Al terzo posto James Bond, altro serial killer e donnaiolo, con l’aggravante del machismo tossico.
Probabilmente porta lo smoking così divinamente da farsi perdonare tutto.
Si susseguono in ordine sparso affaristi doppiogiochisti (Oskar Schindler), ladri (Robin Hood), miliardari psicopatici (Batman), assassini della razza umana riprogrammati in body guard (Terminator 2).
A volte si elude il problema dell’etichettare come “buoni” dei personaggi troppo complessi, e li si chiama “eroi maledetti” o “antieroi”.
Il fatto è che anche i cattivi piacciono
Nel video marketing è un principio molto noto.
Oltre al caso della già citata Superga, abbiamo esempi celebri di uso di testimonial cattivi anche nelle pubblicità di prodotti non sospetti (il caso della serie di spot delle patatine Fonzies con testimonial disonesti o cattivi, fino ad arrivare a Freddy Krueger) o di luxury brand che ci hanno abituati ad una narrazione di un altro tipo (Jaguar con la serie di spot It’s good to be bad).
I cattivi producono velocemente le emozioni che catturano maggiormente la nostra attenzione, con foto e video, nel cinema come nella pubblicità.
Tutti ci ricordiamo di Crudelia De Mon, ma i padroni dei dalmata, quelli tanto carini, si chiamavano… boh.
Ursula, la strega del mare, è indimenticabile, mentre la sua controparte (il padre di Ariel) si chiamava… eh, chi si ricorda.
Hannibal Lecter è leggenda, ma la tipa dell’Fbi come faceva di nome? Agente qualcosa.
Riportando questi esempi al video marketing, la differenza non è così netta, perché la famiglia del Mulino Bianco è comunque un patrimonio dell’immaginario nazionale, e rimane tale anche quando prova a diventare moderna riciclandosi in un’edizione non tradizionale.
E poi ogni prodotto ha il suo target, ovvio.
Alla prossima.
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