7 FILM PER L’ESTATE: HORROR MOVIES!

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Perché un’agenzia di comunicazione dovrebbe dedicare un articolo ai film horror? Perché sotto sotto sappiamo tutti che un film da brivido è una delle tradizioni dell’estate

Chi è negli anta ricorderà i Venerdì con Zio Tibia: adulti, ragazzi e bimbi spavaldi che si riunivano davanti alla TV nelle sere d’estate per un brivido che non rinfrescava per niente, ma che regalava tante emozioni.

I Venerdì con Zio Tibia erano una piccola istituzione che portava un po’ di trasgressione: si poteva stare alzati fino a tardi per gustare un po’ di v.m. 14, tanto non c’era scuola, e lo Zio Tibia era un personaggio tollerato dai genitori. Sono seguiti poi i Festivalbara, Notte Horror (che torna quest’anno), tutti a superare i brividi gentili del passato, quali Ai confini della realtà e L’ora di Hitchcock.

Partiamo quindi con questi 7 consigli di visione per chi ama il brivido, dall’orrore sconfinato al thriller psicologico fino alla commedia un po’ troppo noir. Ogni titolo è dedicato ad una “paura” in particolare.

GLI ZOMBIE VELOCI! 28 GIORNI DOPO

Le orde di zombie lenti di Romero sono cosa del passato per uno dei capolavori di Danny Boyle: 28 giorni dopo.

Film fatto al risparmio, poca spesa e tanta resa.

Cast striminzito ma di grossa caratura.

Paura da morire, product placement senza vergogna, mille livelli di analisi per chi vuole mettere un monocolo e fare il raffinato cinefilo di maniera.

28 giorni dopo parla di un’epidemia di super rabbia causata da un virus delle scimmie, liberate da un gruppo animalista che causerà nientemeno che un’apocalisse zombie in Gran Bretagna. Dopo un inizio concitato ci ritroviamo nei panni di Jim, interpretato da Cillian Murphy (Il cavaliere Oscuro, Inception, Peaky Bliders), che ha avuto un brutto incidente in bici ad inizio epidemia e si risveglia 28 giorni dopo, trovando una Londra deserta, piena di indizi che riconducono ad una spaventosa evacuazione: bacheche con foto e nomi di dispersi, veicoli abbandonati, messaggi che parlano della fine del mondo e soldi, tanti soldi che a nessuno servono più e vengono abbandonati per strada.

Dopo aver cercato rifugio in una chiesa infestata da zombie che durante il giorno dormono, Jim viene salvato dal gruppetto di Selena, che gli dà un’infarinatura sul perché ora bisogna scappare o uccidere per restare vivi.

Il gruppo viene sfoltito da incidenti di percorso fino a che i due superstiti Jim e Selena non si congiungono ad una coppia padre e figlia, Frank e Hannah, che sopravvive in un grattacielo, con il progetto di arrivare a Manchester. Si riesce a captare infatti un messaggio radio trasmesso dall’esercito che promette la salvezza a chi arriverà a Manchester.

Ovviamente la disciplina dell’esercito nulla può contro la natura umana, e il film prende una piega in cui gli zombie fanno un baffo al lato oscuro dell’uomo.

Oltre alla star in erba Cillian Murphy, restano memorabili le performance di Brendan Gleeson (il professor Malocchio Moody di vari Harry Potter, Gangs of New York, La ballata di Buster Scruggs) nel ruolo di Frank, semplicemente perfetto, perfetto! e di Leo Bill, che interpreta il soldato Jones nella roccaforte militare di Manchester.

Questo filmone si smarca benissimo dalla pochezza della sceneggiatura dell’horror da due soldi, sebbene sia fatto in economia: lo capiamo da quanti marchi noti si vedono, come la carrellata sugli scatoloni di apparecchiature Epson che si trova nella fortezza, e dal fatto che non potendo permettersi di bloccare un quartiere londinese si è optato per girare le scene metropolitane prima dell’alba.

L’approfondimento della distopia e della devianza che conseguono allo sfaldamento della società civile non è lasciato in due battute estemporanee (tipo “i veri mostri siamo noi”), è proprio dipinto in modo evocativo con un focus sulla routine dell’esercito, dove la mancanza di donne ha creato perversioni e mostrato falle abominevoli.

Allerta spoiler: si può dire che ci sia il lieto fine.

Consigliamo agli appassionati di zombie veloci anche i seguenti titoli:

Benvenuti a Zombieland: inizio strepitoso, risate e cast d’oro: Jesse Eisemberg, Emma Stone, Woody Harrelson (Non è un paese per vecchi, True detective) e Bill Murray!

28 settimane dopo: seguito eccellente di 28 giorni dopo, non si direbbe proprio una manovra da botteghino

Io sono leggenda: filmone horror, uno di quelli dove hanno messo tanti soldi e fatto tanto scalpore, da vedere anche solo per questo.

Sì, sì, più avanti nell’articolo parleremo anche degli zombie lenti (che per gli intenditori sono tutto un altro genere di mostro!).

IL DEMONIO: L’ULTIMO ESORCISMO

Il Diavolo, Satana, l’Anticristo è un altro mostro classico del cinema dell’orrore.

Se avete amato L’esorcista, film spaventoso tratto da un libro ancora più spaventoso e profondo, ma non vi è dispiaciuto nemmeno REC, allora L’ultimo esorcismo vi farà passare 87 minuti di quelli che piacciono a voi.

La trama non va raccontata ma solo accennata. La particolarità del film L’ultimo esorcismo è che parte come un documentario sulla vita del reverendo Cotton Marcus che, dopo aver perso la fede o forse dopo non aver mai creduto veramente in Dio, si presta a mostrare tutti i dietro le quinte del suo lavoro.

Mitica la scena in cui scommette con la troupe di poter scaldare i suoi fedeli e far gridare amen per qualsiasi cosa lui dica, anche la ricetta del pane alle banane di sua mamma. E vince la scommessa.

La lunga e interessante introduzione del personaggio va dalla sua infanzia di bambino prodigio in seno ad una comunità bigotta fino ai trucchi che usa per fare i suoi “esorcismi”: crocefissi col finto fumo, finte grida, acqua con le finte bolle. Il reverendo crede infatti che si tratti solo di spettacolini ad uso e consumo dei bifolchi del sud degli States che attribuiscono a Satana qualsiasi cosa non curabile con l’ibuprofene, dall’insonnia ai problemi psichiatrici.

Ridendo sotto i baffi per tutto il tempo, si reca con la troupe a casa di una ragazza “posseduta” per praticare il suo ultimo esorcismo.

La bellezza del film sta nella recitazione e nello stile della ripresa, che ci immergono con molta facilità e molto piacere nell’atmosfera giocosa che sta attorno allo statunitense meridionale che già dopo aver finito le medie riesce a guardare con superiorità il popolino ignorante e superstizioso. I paesaggi di campagna mostrano come la pochezza delle menti residenti non abbia affatto domato la natura, lasciando che questa possa restare a minacciare l’uomo con la sua spaventosa presenza mortale.

Arrivato acasa della ragazza, inizia il suo percorso di esorcismo che però stavolta sfalda e confonde via via le certezze sbruffone del reverendo, e di conseguenza le nostre.

Fino a un secondo prima della fine non capiamo se il male che abbiamo visto filmare dalla troupe fosse dovuto al demonio o alla terribile crudeltà di quelle sacche di umanità abbandonate all’ignoranza.

Sul tema esorcismo e diavolo vale la pena dare una chance anche a:

L’esorcista: nonostante abbia 666 anni fa ancora tanta impressione!

Constantine: come 300, è un film-fumetto molto godibile

Little Evil: qui si ride sulla scia dei vari titoli come come Omen, 666 e compagnia bella. Alcune scene fanno davvero venire le lacrime agli occhi dal ridere, nonostante il povero figlio dell’Anticristo ce la metta tutta per portare il Male sulla Terra. Insomma, un filmotto estivo perfetto.

IL MORBO CHE FA PAURA: THE GERBER SYNDROME

Un altro dei temi horror ormai millenari per la storia dell’umanità è quello del morbo. La lebbra, la peste nera, il vaiolo. La malattia contagiosa che si spande e rade al suolo l’umanità è uno degli spauracchi che abbiamo imparato a conoscere bene, da L’ombra dello Scoprine di Stephen King fino al bollettino delle 18.00 della Protezione Civile in tempo di Covid-19.

Perché piace The Gerber Syndrome: perché è recitato da Dio. Non annoia mai perché i personaggi sono autentici, familiari, è sempre come essere in macchina con la troupe che intervista il vigilante, ci sentiamo proprio comodi seduti ai piedi del letto di Melissa, ci dispiace davvero per le dure scelte che devono affrontare i genitori.

Chi si sobbarca l’onere di guardare un film indipendente, oltretutto italiano, è sempre pronto al peggio, diciamoci la verità. Ci aspettiamo sempre un po’ di parlata romanesca, un po’ di periferia con finti writers finto ribelli, ceffoni di padri padroni, scontatezza varia.

Invece The Gerber Syndrome è una chicchetta d’oro che potrebbe ricordare REC, visto lo stile documentaristico, ma che lo supera e gli fa proprio ciao ciao (scritto da amanti di REC, intendiamoci!).

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Il film parla del dilagare di una epidemia virale chiamata Sindrome di Gerber, non contagiosissima ma che quando colpisce fa grandi danni.

Il film prevede tutti gli schieramenti dell’opinione pubblica in una carrellata di interviste iniziali: simil-no mask, simil-no vax e complottisti vari, religiosi che “Dio punisce i malati perché è una malattia da omosessuali”, buonsenso di un paio di mamme, gente informata e gente che non si interessa della cosa. Troviamo anche la pubblicità progresso per la prevenzione! Qui un assaggio.

Insomma, un pre-deja-vu davvero accurato.

Le tre figure chiave di cui si segue la parabola mostrano bene ogni aspetto della vita che viene sconvolto da una malattia preoccupante che dilaga, dilaga, dilaga.

Per chi vuole una recensione ancora più grassa di questa, consigliamo quella di Yotobi.

E per chi vorrebbe riassaporare brividi del genere (grandi epidemie non splatter ma che insomma fanno rizzare comunque molti peli) ecco un altro paio di titoli ad hoc:

E venne il giorno

L’esercito delle 12 scimmie

FILMONE INCOMPRESO: FIDO

Fido è un film bellissimo che non insegna niente, in cui l’amore vince, l’amicizia trionfa e gli zombie nascondono il lato più splatter dietro a completi anni ‘50 fa-vo-lo-si.

Fido ha il coraggio di portare questi non morti moderni indietro indietro nel tempo fino a prima dei primi film di Romero.

Ce li fa gustare come se fossero un genuino pezzo di storia vintage occidentale, in cui la mostruosità degli zombie viene sconfitta, addomesticata, rimossa e normalizzata come ogni interferenza che abbia mai minacciato la narrazione capitalista.

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Tutta questa ultima frase spiega in modo pomposo la trama: gli zombie si sono svegliati, c’è stata la guerra mondiale agli zombie, gli uomini hanno vinto e non contenti hanno:

1. messo in catene gli zombie, che ora fanno i lavori più umili e pesanti

2. creato un business di sepolture con “testa a parte”, in cui compri due bare, una per il corpo e una per la testa, così non diventi zombie

3. nascosto sotto al tappeto ogni aspetto straziante o etico circa l’intera questione, a partire dal fatto che si è trattato di una vera guerra civile, in cui tutti per anni sono sopravvissuti uccidendo i loro cari infetti.

Sembra una cosa pesante, ma in realtà è una bella commedia americana satirica in cui si ride, si sorride e si gode di brutto ogni volta che qualcosa va per il verso giusto.

Sembra una cosa pesante, ma il “pesantometro” suonerebbe ancora di più se lo applicassimo a Dirty Dancing!

Ovviamente gli zombie qui sono di quelli lenti, perché la trama prevede che possano essere messi al tappeto anche da una casalinga americana furiosa coi tacchi, armata solo di borsetta e teiera.

Una curiosità: la mamma tutta american way del film è nientemeno che Trinity di Matrix, qui in veste abito a fiori e marito noioso.

Per chi apprezza la commedia con gli zombie lenti, il titolone da non perdere è:

L’alba dei morti dementi. Il titolo fa presagire il peggio, in realtà è una commedia inglese mooolto inglese.

TARANTINO, CLOONEY E LEWIS: DAL TRAMONTO ALL’ALBA

Un cast che fa faville per un moderno e spassoso film sui vampiri.

Questo è un grosso spoiler ma serve a dire che qui si parla proprio dei non morti assetati di sangue.

Le innumerevoli rivisitazioni della pietra miliare di Bram Stoker hanno sfaldato la pazienza dei cinefili già da un po’. Certe cose raffazzonate le guardi se hai perso un scommessa o se hai un ipertrofico senso di amicizia verso chi vuole farti vedere l’ennesima paccottiglia sui vampiri.

Dal tramonto all’alba invece parte bene, continua meglio ed ha un ritmo incalzante, è tutto dritto e bello e troviamo un Clooney più figo che in ER, più carismatico che in Ocean’s Eleven, più eroico che in Gravity.

Quello che i pennivendoli descriverebbero come un “improbabile quintetto” si ritrova a dover passare una serata in un locale aperto dal tramonto all’alba, e ne succederanno di tutti i colori.

La trama è semplicissima e spettacolare, con dialoghi che vanno dal bello al memorabile, personaggi tutti giusti e due o tre colpi di scena che ci vanno dire dal “wow” al “oh Gesù”.

Per chi non ha dato una chance a questo film perché non ha capito di cosa parla o pensa che sia un prodotto di serie B: no. Guardatelo. È noir e scanzonato, audace e intenso, sexy e divertente.

E a chi piace questo primo, ecco il secondo, il contorno e il dessert sullo stesso stile:

Planet Terror, di Rodriguez e Tarantino.

L’armata delle tenebre: un vero filmaccio, un classico dei filmacci, così trash che si può guardare solo a Natale o in estate.

Grosso guaio a Chinatown: perché se davvero vuoi fare il sommelier devi assaggiare anche il Grinton.

MICIO MICIO MICIO? PET SEMATARY (QUELLO DEL 1989)

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Il mostro di questo paragrafo è la magia nera, il voodoo, la maledizione. Parliamo di Pet Sematary.

Chi è abituato a leggere i libri e poi a vedere il film, magari anche decenni dopo, si trova spesso con trasposizioni cinematografiche deludenti, non ben centrate o stravolgenti rispetto a quello che si è amato o colto nel libro. Con Pet Sematary questa delusione non c’è.

Chi ha letto il libro trova solo pochi dettagli mancanti, dettagli collaterali oltretutto.

Per chi non l’ha letto, ecco il film.

Una famigliola americana trasloca nella casa in campagna dei loro sogni. Mamma, papà, figlia che si scoprirà sensitiva, bimbo neonato e gattone di casa.
Sfortunatamente, il micio Churchill detto Church muore e viene sepolto nel cimitero degli animali vicino a casa. Il racconto prende proprio il nome dal cartello sgrammaticato, scritto dai bambini all’ingresso del cimitero che accoglie cani, gatti e pesciolini.

Accompagnati dal vicino di casa, che impressiona tutti dicendo che il cimitero è il luogo dove i morti parlano (momento di terrore) attraverso le scritte d’amore sulle lapidi (mezzo sospiro di sollievo).

Le cose iniziano a prendere una piega preoccupane il primo giorno del nuovo lavoro del padre, Luis, che ha appena iniziato a fare il medico in un liceo. Un ragazzo di nome Pascow ha un grave incidente e muore poco dopo l’arrivo in infermeria. Il ragazzo resuscita per pochi secondi, sputazzando sangue, solo per ghignare dei sinistri avvertimenti a Luis.

Cosa farà Luis? Darà retta a Pascow o no?

Eh, accidenti a Luis.

Probabilmente il film è il capostipite forte della tradizione dei cimiteri indiani maledetti, che animano case e cose e persone e animali.

Il film soffre un po’ di una fotografia antiquata, di effetti poco speciali e soprattutto di una insopportabile scelta dei costumi (in quegli anni…) ma è un filmaccio estivo perfetto da guardare con le finestre aperte per gridare proprio quando il gatto salta in casa durante una scena clou.

Per chi ha apprezzato Cimitero vivente, traduzione noiosa dell’originale, è d’obbligo vedere anche:

Pet Sematary del 2019, giusto per chiedersi come mai ha un voto più alto da Rotten Tomatoes.

Poltergeist, perché anche lì c’entrano i cimiteri.

Quella casa nel bosco: un horror che fa divertire fino alla fine, nonostante il guaio all’orizzonte sia veramente apocalittico.

Un’ultima curiosità: i film horror basati su animali e piante che minacciano l’umanità costituiscono il sottogenere dell’horror “natural”. Lo squalo e Aracnofobia ne sono due esempi, assieme al più moderno Annihilation del 2018.

DI NUOVO JULIETTE LEWIS? CAPE FEAR – IL PROMONTORIO DELLA PAURA

Allora allora, qui parliamo di un classico.

Lo inseriamo nella lista degli horror perché quella bestia di De Niro e la sua partner Juliette Lewis riescono a spararci lontani dalla comfort zone come pochi altri.

Il mostro di questo film è l’essere umano cattivo.

Certo, anche i soldati di Manchester di 28 giorni dopo erano tremendi, ma sono in una pellicola famosa per gli zombie. Qui invece il mostro spaventoso è proprio lui, il sadico persecutore umano.

Il film viene citato dalla notte dei tempi e lo sarà per sempre, perché è proprio un film bello spesso e coinvolgente, attempato ma che mostra senza veli il marcio che ribolle nelle anime corrotte, e quanto questo marcio possa essere una tentazione o una maledizione.

Per dire, anche Telespalla Bob dei Simpson fa il verso all’angosciante inseguimento di De Niro.

La trama, senza spoiler: l’avvocato Sam Bowden, difensore di Max Cady (De Niro) accusato di stupro, non riesce a far assolvere il cliente, che dopo 14 anni di carcere torna a perseguitare Bowden e la sua famiglia.

La persecuzione inizia con una serie di apprezzamenti, avvicinamenti, complimenti, intrusioni nella vita della famiglia di Bowden, che tuttavia non superano mai i confini della legalità, ma sono sufficienti a far impazzire l’avvocato.

Le contromisure porteranno ad un finale adrenalinico e liberatorio, dopo quasi due ore su suspense magistrale.

Anche perché il registra è mr. Scorsese.

Niente da dire, è proprio bello, si fa ricordare e fa prudere le mani.

Se vi è piaciuto Cape Fear, ecco qui i prossimi film da vedere:

Il silenzio degli innocenti: un cattivo così cattivo che nessuno ricorda nemmeno il nome dell’eroe del film (l’agente dell’FBI che si chiamava… agente qualcosa)

Red Dragon: prequel del Silenzio degli Innocenti, decisamente all’altezza, dove il bello sta sia nella trama che in alcune autocitazioni e dettagli formidabili.

L’articolo ti ha dato qualche bella idea per la serata? Torneremo presto con 7 titoli di commedie per l’estate!

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