Chi è Loїe Fuller?
Loїe Fuller è talmente tante cose che si fa prima a dire cosa non è.
Non è banale, mai.
Loїe Fuller è una delle visionarie fondatrici della danza moderna, la sua figura gentile racchiude tutta la cavalleria di una avanguardia artistica e culturale incontenibile. In anticipo sui tempi, mai contenta, focalizzata, trainante, affascinante fino ad essere ipnotica e dirompente come un fuoco d’artificio in una scatola di vetro.
Ecco una delle sfaccettature di Loїe Fuller, così come ci viene restituita dal film Io Danzerò.
Loїe Fuller. Io sono l'avanguardia
Loїe Fuller ha tracciato il solco profondo e definitivo che ha rotto con la danza classica per inaugurare l’arte della danza moderna.
Non con le scarpette a punta, non con i movimenti impostati e manieristici codificati dalla moda romantica, e non con gli abiti ancora atti a costringere il corpo in maxi gonne che prenderanno il nome di tutù, spesso abbinate alle scarpette a punta, assoluta invenzione dell’epoca e vera frontiera del balletto romantico classico.
Loїe Fuller va oltre. Con la sua visione d’avanguardia sfonda l’ultima parete della corrente romantica e la porta forse alla sua vera essenza.
Là dove il romanticismo arrivava a produrre Il bacio di Hayez in preziosi capi d’abbigliamento con gonne in seta e infinite sottogonne, che troppo erano legati all’ancien régime, Loїe porta teli selvaggi, così lunghi ed inappropriati da far pensare che glieli abbia prestati un albero.
Quando il Viandante sul mare di nebbia di Friedrich sembra aver raggiunto il massimo della ribellione voltando le spalle al pubblico, ma resta impostato, ben vestito ed accessoriato, la Loїe si scatena scalza a sudare e ruggire come se racchiudesse l’essenza di tutta la fauna indomabile e a sangue caldo.
Mentre il romanticismo introduceva la natura attraverso scritti e disegni da fruire nel salotto o sulla chaise longue, Loїe Fuller si lasciava possedere, sudando e ansimando, brillando grazie alla parte più feroce della natura: la corrente elettrica.
Loїe è la prima performer della storia della danza: prima c’erano solo le ballerine.
Il corpo di ballo era uno sfondo piatto e lontano. Nella foto qui sopra vediamo come viene valorizzato dalla rivoluzione-Loїe.
Essere un’avanguardia significa che compagnie del calibro di Momix e artisti della fama mondiale di Madonna non esisterebbero se qualcuno non avesse fatto quel passo, cento anni prima. E non in punta di piedi.
Un femminismo sui generis
In Io Danzerò, la questione del rapporto fra maschi e femmine e le costrizioni circa cosa sia appropriato o non appropriato per la donna emergono molto spesso.
La scelta di presentare Loїe come frequente bersaglio degli attacchi maschili permette alla regia di far emergere un pensiero che potremmo definire meta-femminista della protagonista.
Loїe applica il femminismo come “nozione radicale che le donne sono persone” in accezione mai politica e mai sociale.
Non esiste una visione collettiva e progettuale nell’affrontare le burrasche di genere della fine dell’Ottocento, esiste la nozione del “io sono una persona”, che rinvigorisce un atteggiamento spento e annoiato, dal sapore mai sessuale, nei confronti dei minuti persi per lasciarsi vessare.
Sotto, Jennifer Guerra posa indossando la t-shirt con la celebre definizione di Cheris Kramarae.
Già nelle prime sequenze di gioventù troviamo una Loїe che preferisce restare col padre, mandriano attento all’arte, piuttosto che con la madre, rigida fustigatrice che si è data alla convivenza monastica. Nel ranch americano del padre, Loїe è tale e quale un uomo, una ragazza con le spalle da sacchi, che affianca lo studio del teatro ai mestieri di mandriano.
Alla solitudine nello studio della recitazione corre parallela l’emarginazione dalla cerchia dei pari, tutti uomini, a fianco dei quali impara e lavora, subendo scherno e nonnismo nonostante il suo valore. Nella scena concitata della legatura delle zampe di un vitello, viene “per scherzo” legata per i piedi e trascinata lontano da un cavallo al galoppo.
Si trattava forse dello stesso trattamento riservato agli altri giovani del ranch, ma il fatto che Loїe indossasse una gonna che le si solleva fin sopra la testa mentre viene trascinata via, dà alla scena un gusto più amaro.
Loїe non se la prende e finito lo show torna a studiare i dialoghi per il teatro. Le basta constatare di essere tutta intera.
Pochi minuti di pellicola dopo, a seguito della morte del padre, Loїe insegue il suo sogno di attrice e si ritrova ingaggiata come modella erotica, venendo violentata dal fotografo immediatamente dopo gli scatti. La regia sceglie di nuovo di presentare l’insulto in modo peculiare.
Qui Loїe mostra di sapere dove si andrà a parare, e alla fine della sessione di fotografie chiede al fotografo: “Ora mi violenterai? Nel senso, giusto per sapere”. Il tutto con la stessa verve di chi ti chiede se il bus numero 4 è già passato.
Nuovamente, molto in là nella trama, la troviamo alle prese con il benefattore della sua scuola di danza che si infila nella vasca da bagno mentre Loїe si lava. Alle avances dell’uomo, lei risponde: “Dai che se continui faccio la pipì nella vasca”.
Loїe non si sente mai minacciata. Consapevole di un sistema patriarcale delle relazioni, consapevole dell’area grigia dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo, accetta alzando gli occhi al cielo con somma noia che gli uomini le facciano fare tardi per molestarla e vessarla.
Non riconosce loro alcuna superiorità, è concentrata sul suo progetto e usa le persone con la stessa disumanità con cui viene usata, con lo sguardo che le brilla solo quando vede davanti a sé la realizzazione dei suoi progetti.
È come se, col suo atteggiamento, chiarisse che è solo la cultura a ripetere che il maschio è forte, è padrone, è libero, ma che nei fatti nessuno la può ostacolare, al massimo la può tediare o rallentare.
Ritroviamo in diversi personaggi di fantasia la stessa sorta di attitudine verso la disuguaglianza e la violenza di genere. Personaggi come Loїe la cui visione della vita potrebbe essere riassunta in: “sono in una gabbia, ma la gabbia è aperta”.
Troviamo Clara de La casa degli spiriti, ritratta qui sopra in una scena della pellicola del 1993: non insofferente, ma profondamente indifferente tanto alle convenzioni come alla brutalità e bramosia del marito.
Quando proprio il marito Esteban Trueba la picchia facendole perdere molti denti, lei si mette la dentiera e smette di parlargli per sempre, lasciandolo prima ad impazzire e poi a piangerla una volta che lei lascia la vita terrena.
Ovviamente per propria scelta.
Clara è una veggente che non viene minimamente toccata o impressionata da tutta la materia, anche la più viva, che la circonda.
Raccoglie teste mozzate come fossero margherite, con l’indifferenza trascendente di chi sa già tutto, e nessun regalo la impressiona: “si limitava a trovare tutto molto grazioso”, vivendo davvero solo nel suo mondo fatato dove niente poteva scalfirla.
Troviamo Lisbeth Salander, la hacker del ciclo Millennium, qui sopra interpretata da Noomi Rapace in Uomini che odiano le donne del 2009.
Da quando ha la forza di reagire, Lisbeth reagisce per punire, anche a morte, gli “uomini che odiano le donne”.
Le basta essere sufficientemente forte da trasportare una tanica di benzina con cui dare fuoco al padre assassino, e sufficientemente attrezzata per stordire, seviziare e terrorizzare il tutore pervertito che si era spinto troppo oltre nelle molestie, arrivando ad un violento stupro.
Anche qui non c’è un disegno: a lei piace il proprio lavoro, la appassiona, e decide di cedere alle richieste erotiche fuori luogo del tutore che le deve dare il permesso per comprarsi l’attrezzatura.
Scocciata, subisce per il bene del suo progetto di vita, fino a che non le viene fatto “troppo male” secondo i suoi personali standard di pura matrice utilitaristica.
Nessuna sorellanza, nessuna politicizzazione, ma anche qui la radicalità verso un sistema costellato da quegli uomini che odiano le donne del titolo del primo romanzo.
L’ostacolo è negli occhi di chi ostacola
Gli ostacoli che Loїe deve affrontare vanno oltre alla capillare questione di genere, e lei li affronta con la stessa praticità con la quale si sbriga a liquidare chi la molesta.
La danza che lei inventa diviene subito una moda da scopiazzare senza averne capito l’essenza.
Disperata perché vede il furto del suo frutto artistico, si sente rispondere che non si può brevettare una danza, almeno non negli Stati Uniti. “Forse in Francia”. Detto, fatto. Loїe si accolla una traversata oceanica per portare avanti una carriera in cui crede ciecamente.
L’età sembra essere la successiva mannaia che sta per decapitare la sua carriera. Quando propone la sua danza ha 25 anni e viene stroncata da un: “Le ballerine arrivano all’apice a 20 anni, tu sei vecchia”. “E tu fammi provare”, risponde, vincendo.
Il fisico non longilineo che le viene criticato sempre più spesso viene difeso da Loїe: lei deve danzare sollevando velocemente decine di kg di canne e stoffa, le servono braccia muscolose, un collo potente, gambe massicce.
Qui sotto, uno dei manifesti del Folies Bergère per gli spettacoli della Loїe.
La ristrettezza economica nella quale vive e le esigenze di sviluppare il proprio spettacolo la portano ad uno starno connubio con un ex miliardario decadente in rovina, presentato come debole e piagnucolone.
Il dialogo fra i due vede lui disperarsi in modo drammatico e dichiararsi, e lei bypassare tutto il pathos dell’uomo per rispondere laconicamente: “Quanto sono alti i soffitti? Mi serve spazio per lavorare e ti posso pagare l’affitto”.
Loїe difficilmente chiede qualcosa, più che altro detta l’agenda. Il fatto di essere una fuoriserie e di confermarlo con il successo dei suoi spettacoli la rende solo leggermente più affidabile, lasciandola di fatto sempre alla mercé dell’incredulità dei direttori di teatro.
La sua solitudine è amplificata dalla difficoltà di delegare compiti mai esistiti prima, che nascono praticamente assieme al suo stesso sentire e all’evolvere della performance.
Non ci sono esperti a cui affidare il lavoro: lei deve essere assieme alla sarta per dirle che sì, non ha scritto male, la gonna è davvero lunga 4 metri, sì, anche sul davanti, come si vede dalla foto d’epoca.
Deve essere dal direttore dell’Opera di Parigi per dire che no, i filamenti da 30 non vanno bene, servono lampadine coi filamenti da 50, che no, non si può fare con quelli da 30, che sì, anche i direttori degli altri teatri si sono disperati e che no, non è mai scoppiato nessun palcoscenico.
Deve correre nel fango con le allieve, sennò non si allenano nel modo giusto.
Di nuovo col direttore dell’Opera, deve difendere la scelta dell’atto di apertura con artisti orientali che l’uomo liquida come elementi da circo, assolutamente non degni di entrare nella sua roccaforte dell’arte vera.
Deve fare da tutore speciale per Isadora Duncan (sotto) perché solo lei, Loїe, sa distinguere il “sopra le righe” dal vero genio innovatore.
Tutto questo tocca a una Loїe sradicata, emigrata, abbandonata dal padre che muore e abbandonata dalla madre che non condivide niente della sua arte.
Il senso della vita
La figura di Loїe può apparire tanto meccanica e anaffettiva quanto drammatica e pulsante.
In lei convivono il distacco dalle cose terrene, compreso tanto il pubblico adorante quanto gli elementi che la ostacolano, assieme ad una passione che si incarna nel suo corpo e che scolpisce la sua mente in ogni minuto di veglia.
Loїe è grande per il suo bisogno assoluto, né egoistico né altruistico, di dare, di comunicare, di esprimere una cosa bellissima e nuova che solo lei può incarnare e rendere visibile agli altri.
La sua missione non ha mai fine, si migliora fino a distruggersi, e prima di perdere la salute e la vista si premura di addestrare le sue eredi. (spoiler: la sua missione non ha ancora fine.)
Loїe non viene presentata come vanitosa, ma come estremamente sicura di sé.
Non un’eroina, ma una condottiera instancabile.
Non un’artista nella torre d’avorio ma la tuttofare di sé stessa.
La sua missione, così come viene presentata dalla regia, ha il sapore di una vocazione pagana che azzera tutto il resto.
La Loїe si comporta come se il brusio del mondo fosse un rumore bianco che lei sa ignorare per concentrarsi nello scrivere la melodia che lo andrà a zittire, questo mondo.
Sembra non aspettarsi ricompense se non la pace personale per aver portato il fuoco agli uomini, pagando un prezzo altissimo.
Le licenze poetiche che la regista ha deciso di concedersi sono funzionali ad un prodotto cinematografico forte e degno e ci regala dei ritratti toccanti e validi, che ci fanno correre su Wikipedia per sapere cosa è successo davvero alla vera Loїe, ai suoi occhiali, e come è finita con Isadora, cosa è successo alle ballerine, al conte…
Alla prossima.