FACILE O DIFFICILE: IL MARKETING AL BIVIO

marketing facile ed etica

Facile.
Non devi strofinare.
Costa meno di un caffè al giorno.
In pochi minuti.
Salta la fila.
Lo mastichiamo noi per te.

AL MARKETING PIACE FACILE

Questa mattina ci stavamo divertendo a guardare le pubblicità basate sulla paura: immagini raccapriccianti, campagne contro il fumo e l’obesità, servizi di videosicurezza contro ogni tipo di minaccia, dalla rapina alla babysitter pigra.

I principi del marketing che si basano sulla paura sono pochi e semplici:

  • fai sentire il tuo target in pericolo, spaventalo
  • fagli percepire che il pericolo porta ad un grande danno
  • mostragli che la tua soluzione è efficace
  • FAGLI CAPIRE CHE LA TUA SOLUZIONE È FACILE

Continuando a surfare fra i contenuti legati alla paura siamo arrivati a quelli, parenti stretti delle pubblicità horror, basati sulla colpa e sulla vergogna.

Qui le sfumature di argomenti sono un po’ più variegate e intime.

Si va dalla vergogna per essere vecchio, pallido, rugoso, grasso, di avere la forfora o l’alito cattivo, fino alla vergogna di bere un caffè al giorno, mentre “con meno di un caffè al giorno puoi [inserire una nobile causa planetaria]”.

E che fai, continui a buttare spicci nel caffè quando puoi debellare la malaria, nutrire un villaggio, far laureare un’orfana?

Dovresti proprio vergognarti.

Anche qui le regole vanno a parare sulla soluzione facile:

  • fai sentire il tuo target colpevole: dovrebbe vergognarsi
  • fagli percepire che la situazione vergognosa porta ad un grande danno
  • mostragli che la tua soluzione è efficace
  • FAGLI CAPIRE CHE LA TUA SOLUZIONE È FACILE

Poi, prendendo un po’ le distanze dalle grandi paure alle profonde vergogne, andiamo sul quotidiano.

Anche qui abbiamo un problema banale, che viene ingigantito e si insiste sul disagio che ne consegue. Vediamo una bellissima cucina con una signora vestita da domenica che tiene in mano una pirofila dove minimo ci deve aver fritto un dinosauro nel monte Fato.

Non vorrai mica grattare?

O peggio, non vorrai mica lasciarla in ammollo???

Lo stesso per i prodotti dimagranti, antirughe, solari, antidolorifici, che presentano i nostri mostruosi disagi che possiamo risolvere in 5 minuti.

Poi queste cose le compriamo, ma:

  • non fanno effetto in 5 minuti
  • inquinano mari, laghi, fiumi
  • hanno una lista di controindicazioni e di effetti collaterali che ora che hai finito di leggerli la pirofila si è auto digerita e il mal di testa è passato da solo.

Insomma, manca un po’ di serietà, e se siamo al disastro planetario è perché tutte le soluzioni, incluse quelle presentate come scorciatoie possono tagliare la fatica da una parte, a patto di esternalizzarla dall’altra.

LA RESPONSABILITÀ DELLA FATICA

Crediamo che l’epoca delle prime 50 telefonate, del prodotto che fa tutto da solo e tu non ci pensi più, del terrore che si risolve in un clic e della soluzione che costa meno di un caffè al giorno sia alla fine.

Perché?

Un po’ perché il pubblico, che include anche noi, è un po’ più smaliziato rispetto a 10, 20 o 50 anni fa.

Ma soprattutto perché una cosa, per funzionare bene, va fatta bene, e per farla bene serve fatica. Se deleghiamo tutta la fatica ad un prodotto o ad un servizio perdiamo un po’ la nostra capacità di capire le cose, di prevenire i disagi, di accettare le imperfezioni e di sentirci responsabili delle conseguenze delle nostre azioni.

Ora, senza esplorare le assolute verità dell’universo, crediamo che il marketing abbia la sua fetta di responsabilità nel modellare il nostro comportamento e la nostra attitudine a scegliere uno stile di consumo che, alla fine, ha un effetto pratico in termini di scarti e danni che vengono messi sul nostro conto (di esseri umani, cioè noi oggi, noi da vecchi e le future generazioni) e sul conto del pianeta.

La mancanza di un pianeta B e il bilancio sempre più precocemente in rosso del nostro consumo di risorse è un fatto problematico e scegliere bene cosa, come e quanto consumare è una nostra responsabilità.

Magari una rivoluzione tecnologica o un salto di qualità nella produzione dell’energia, o una grande scoperta risolveranno i problemi, ma nel frattempo è etico riconoscere che scegliere bene aiuta tutti.

Non parliamo di decrescita, che è un concetto spinoso figlio di sogni infelici. Il segreto è proprio la fatica: ci si fa un mazzo così per tenere pulito, per non sprecare, per insegnare a fare bene e per imparare a fare bene.

E se c’è una modalità quotidiana con la quale interagiamo tutti e in modo massiccio, è il consumo, che avviene attraverso le nostre preferenze influenzate proprio dal marketing.

Per questo diciamo che l’epoca del marketing del facile deve venire sostituita dal marketing della fatica, o meglio, della sincerità.

La comunicazione e la pubblicità sono talmente potenti che diverse volte abbiamo parlato di come gli stessi governi si siano dovuti interessare di mettere dei paletti attraverso regole e divieti alla pubblicità dannosa o ingannevole, o tassando e proibendo determinati prodotti o la loro sponsorizzazione.

Ci si è dovuti muovere a livello governativo perché la singola azienda che sgomita per emergere, vendere e guadagnare, col piffero che si sarebbe auto limitata nelle proprie strategie dannose.

Consumare, possedere, vivere esperienze sofisticate e avventure, sfoggiare i nostri status symbol sono tutti mezzi per raggiungere una felicità che ci viene presentata come desiderabile proprio dal marketing: è una tendenza che diventa cultura e che diventa consumo.

Dato il grande impatto di questo meccanismo, e data la lentezza della burocrazia centrale, che è impastoiata anche dal lavoro delle lobby e da altri interventi un po’ più fumosi, l’azienda che sceglie bene è la pioniera di un miglioramento che in futuro sarà la normalità.

Come spiegava la dottoressa Wang a Rick Sanchez in Rick e Morty, parlando di scelte, lavoro e fatica:

“Lei è il padrone del suo universo, eppure è coperto di sangue di ratto e feci. La sua mente enorme sta letteralmente vegetando per sua stessa mano. Non ho dubbi che l’annoierebbe a morte fare la terapia, come a me annoia lavarmi i denti e pulirmi il sedere, perché il fatto di riparare le cose, curare se stessi e pulirsi, non è un’avventura. Non si muore a fare male queste cose, però è… lavoro. E la morale è che certa gente ama andare a lavorare e certa gente …eh, piuttosto morirebbe. Sta a noi fare la scelta”.

Conclusione: facciamo la nostra parte? Sì dai, sennò bisogna dare proprio ragione a Bill Hicks quando diceva che c’è un girone speciale per “quelli del marketing”.

Alla prossima!

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