STREET ART E HIP HOP PARTE 1: Mischiare, agitare, servire caldo!

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Un’agenzia di comunicazione non è solo piani di marketing, pianificazione di campagne pubblicitarie o analisi di settore.
È anche passione per la società che la circonda, ricerca, collegamenti logici tra le materie più disparate e soprattutto amore per la cultura di ogni genere.
Siccome è la cultura in generale che plasma non solo le nostre vite ma il modo stesso in cui comunichiamo, abbiamo pensato di scrivere una serie di articoli che parlino di Hip Hop e di Street Art, dagli esordi fino alla consacrazione a linguaggio di massa avvenuta all’inizio del nuovo millennio.

Roma non fu costruita in un giorno

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South Bronx agli inizi degli anni 60 del novecento

New York, 1953, Manhattan.
Quest’isola si sta preparando a diventare l’epicentro culturale per l’Occidente.
Con la fine della seconda guerra mondiale alle spalle, e grazie anche al fatto che gli States non devono fare i conti con intere città e filiere industriali fatte a pezzi dai bombardamenti, il futuro sembra roseo.

È in atto un boom di consumi, produzione industriale e nuove scoperte dal punto di vista scientifico e sociale.
Se sei un immigrato di seconda generazione irlandese, polacco , italiano, ebreo o tedesco che ha un padre che ha sgobbato nelle fabbriche del Bronx o nei docs del porto, e magari hai anche svolto il servizio di leva come carrista nelle Ardenne o il Marine sulle spiagge di Omaha beach, sei pronto per entrare nei nuovi business della Grande Mela: finanza, spettacolo e pubblicità.

Le opportunità sono moltissime a livello lavorativo, e in una città che si sta espandendo e trasformando per l’ennesima volta, i professionisti di questo tipo non possono e non vogliono alloggiare nei vecchi quartieri dei genitori come il Bronx o il Greenwich Village, in cui da poco si vedono bazzicare degli strani tizi vestiti male che parlano di cose incomprensibili.

Ed ecco che i nuovi quartieri nella cintura suburbana in stile Levittown iniziano a fiorire con velocità impressionante.
Ma, sorgendo a distanza di decine di miglia da Manhattan, questi nuovi quartieri richiedono ore con la viabilità esistente per essere raggiunti.
Allora che si fa?
Con il boom di vendita di automobili cosa facciamo, convinciamo questi nuovi professionisti a muoversi tutti in treno?

Robert Moses, un potente palazzinaro newyorkese dell’epoca, ha una bella pensata: perché non costruiamo un’autostrada direttissima che parta da Manhattan e porti direttamente ai nuovi quartieri suburbani?

Il progetto della Cross-Bronx Espressway inizia ufficialmente nel 1948, anche se gli interessi non sempre limpidi di Moses si materializzano già nel 1929, come raccontato nel libro The Power Broker di Robert Caro e in un recente film di Edward Norton “Motherless Brooklyn”.

Caro scrive: “Il tracciato della grande autostrada attraversava 113 strade, avenue e boulevard, centinaia di condotte fognarie, idriche e di servizi, un’autostrada e tre ferrovie, cinque linee sopraelevate della metropolitana e altre sette superstrade, alcune delle quali costruite in quello stesso periodo da Moses”.

Purtroppo in mezzo ci saranno anche più di 60.000 residenti con relative abitazioni ed attività commerciali.
Moses risolverà il problema con una serie di espropri giustificati dalla riqualificazione urbana e dagli ingenti fondi statali erogati per il progetto.

E come soluzione al problema abitativo viene attuato il progetto di innumerevoli “torri nel parco”, un concetto tanto caro all’architetto modernista LeCorbusier: vengono inaugurate le Bronx River Houses e le Milbrook Houses, immense torri casermoni da 1.200 unità abitative ciascuna.

Alla fine degli anni ’50 più di metà della popolazione bianca del quartiere si sarà ormai trasferita nei nuovi quartieri suburbani, sostituita da nuovi inquilini ispanici, afrocaraibici e afroamericani.

Le gang giovanili di bianchi prepareranno innumerevoli feste di benvenuto a base di pestaggi nei cortili delle scuole e risse di strada, a cui i nuovi arrivati risponderanno formando nuove gang a loro volta.

Non propriamente la situazione agrodolce raccontata da West side story!

Nel giro di dieci anni, durante i favolosi anni ‘60, si conteranno 600.000 posti di lavoro persi nelle fabbriche del South Bronx, praticamente la scomparsa del 40% del settore industriale.

Arrivati alla fine degli anni sessanta, finito il ciclo produttivo delle industrie, si fa largo un nuovo business: i roghi di edifici.

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South Bronx negli anni 70 dopo il boom di vendita delle automobili

Purtroppo arriveranno molto affievoliti i segnali della beat generation e della summer of love. In questo substrato, l’eco delle marce per i diritti civili di Martin Luther King e delle iniziative del Black Panther Party, quando arriverà, sarà immediatamente messo a tacere.

A metà degli anni ’70 il reddito medio pro-capite nel Bronx è di 2.340 dollari, la metà di quello di New York, il 40% della media nazionale.
Il tasso ufficiale di disoccupazione giovanile tocca il 60%, anche se i servizi sociali sono più propensi a dichiarare l’80%.

I ragazzi crescono in strade abbandonate e senza alcuna speranza, senza biblioteche, cinema o feste di quartiere, né tantomeno la speranza di uscire da questa spirale di miseria.
Se la cultura Blues è nata dal lavoro forzato degli schiavi, Hip Hop e Street Art saranno invece una cultura che fiorirà dalla disoccupazione di massa!

E ora qualcosa di completamente diverso: la caduta di un impero

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Prima della Street Art: Sound System e negozio di dischi ambulante giamaicano degli anni 70

Ora vi domanderete: cosa c’entra l’immagine di un Sound System jamaicano degli anni sessanta con Hip Hop e Street Art?
C’entra.

Per due motivi: il primo è che proprio questo tipo di approccio musicale sarà quello che getta le basi su cui verranno fondate l’Hip Hop e la cultura Street Art.
Il secondo motivo deriva dal fatto che è proprio in Jamaica, a Trenchtown, che è nato e ha vissuto i primi anni di infanzia il fondatore del genere di cui stiamo parlando.

Se del secondo parleremo meglio più avanti, ora soffermiamoci un attimo sulla Jamaica del 1962: l’Impero Britannico non esiste più, finalmente i giamaicani possono determinare autonomamente il loro cammino tra le altre nazioni e tutti sono contenti.

Non proprio però: l’eredità coloniale consiste in una nazione che basa la propria economia sulla coltivazione intensiva di canna da zucchero e sul turismo dei visitatori bianchi.

Grazie alla decolonizzazione di molti altri paesi in quel periodo, altri competitor inizieranno a produrre e vendere autonomamente canna da zucchero e, siccome l’impero britannico non c’è più, tutti quei visi pallidi che ogni anno venivano a fare le vacanze nelle isole caraibiche del Regno, adesso che l’atmosfera non è più la stessa, non vengono più.

In breve, la situazione si fa pesante.
Da anni i sound system, degli impianti audio portatili coperti da scritte pazzesche pioniere della Street Art, erano un intrattenimento soprattutto nei quartieri più poveri delle città, abitati da agricoltori che nella transizione da un paese rurale ad uno moderno avevano perso il lavoro nei campi per guadagnare dei lavoretti sottopagati in città o come lavoratori stagionali negli States.

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Sound System anni 60 con scritte pazzesche

La musica rivestiva un ruolo fondamentale per unire, raccontare e spiegare i fatti di attualità che si susseguivano.
E continuerà a farlo sempre di più, tanto che la politica si servirà proprio della musica per aumentare la propria visibilità tra le masse.

Nel 1966 Edward Seaga, un esponente conservatore del Partita laburista giamaicano e uno dei primi imprenditori musicali a portare in sala di incisione la musica popolare locale, inventa l’annuale Festival della canzone giamaicana, che da a sua volta una bella spinta alla giovane industria musicale autoctona.

Questo festival servirà come trampolino di lancio per molti giovani artisti usciti dal ghetto, Toots and the Maytals ed Eric Donaldson hanno cominciato così, e favoriranno il cementarsi di una nuova identità nazionale.

È proprio dai ghetti che esce fuori un movimento politico-religioso tipico della Jamaica: il rastafarianesimo.
Hailè Selassiè, imperatore di Etiopia e profeta vivente di questa religione, sbarcherà in Jamaica nel 1966 e sarà accolto da più di 100.000 seguaci di questa religione anticolonialista che faceva presa soprattutto tra gli ultimi nei ghetti.

Si instaura una commistione tra la musica leggera, i canti popolari, la religione rastafariana (che nel frattempo si confronterà con la musica dando origine al Reggae), le istanze politiche del People’s National Party e la cultura del sound system.
Questa crasi multiforme creerà un potente movimento popolare che negli anni ’70 inciderà profondamente sulla vita dell’isola.

Il fenomeno è così pervasivo tutti quelli che vogliono farsi sentire, che siano politici o musicisti, capiscono come i sound system siano fondamentali per il successo!

Naturalmente le cose peggioreranno parecchio e negli anni ’70 le strade si infiammeranno per le proteste contro la corruzione e la ristrutturazione statale imposta dal Fondo Monetario Internazionale.

Bob Marley, come pioniere dello ska prima ed alfiere del rastafarianesimo dopo, girerà il mondo sostenendo la causa della decolonizzazione dell’Africa e portando alla ribalta la situazione politica del suo paese.

In questo clima cresce Clive Campbell, che come vedremo più avanti, farà del suo meglio per portare un po’ di questo gioioso casino anche negli States.

I guerrieri della notte

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Un giubbetto di jeans con l'emblema dei Ghetto Brothes

Torniamo nel Bronx verso la fine degli anni ’60: è ormai da una decina di anni che i ragazzini crescono in strade circondate da macerie, senza prospettive di lavoro e senza alcuna possibilità di muoversi fuori dal quartiere se non per finire in carcere o cercare lavori sottopagati in uno stato vicino.

I frutti di questa situazione si chiamano gang: bande di ragazzi di strada con una forte identità condivisa. I membri delle neonate gang passano le giornate in territori delimitati da un paio di strade e per riuscire a sentirsi parte di una comunità sono disposti barattare la propria vita con dei codici d’onore tribali fondati sull’appartenenza ad un gruppo o ad un altro.

Sbagliare strada significa trovarsi in territorio nemico, e se va bene te ne torni a casa con un bel pestaggio, se va male con un coltello piantato nella schiena, sperando di non finire anche in mano alla polizia, altrimenti il coltello nella schiena si trasforma in reato di porto d’armi abusivo.

Qualche eco di quello che succede “fuori” ogni tanto arriva, ma presto quel poco di positivo che si crea svanisce nel nulla: il 4 aprile 1968 viene assassinato Martin Luther King Jr. e con lui viene decapitato il movimento non violento per i diritti civili degli afroamericani.

Nello stesso anno J. Hedgar Hoover, l’allora capo dell’FBI, avvalla un’operazione contro “i gruppi dell’odio dei nazionalisti neri”: Nation of Islam e Black Panther Party, che dall’inizio degli anni ’60 hanno cominciato a radicarsi nel quartiere, sono ovviamente al centro dell’attenzione.
Il 2 aprile del 1969, in un’operazione coordinata di FBI e forze di polizia locale, verranno arrestate nel Bronx 348 persone e incriminate di cospirazione contro il governo federale.
Tra loro c’è Afeni Shakur, madre di Tupac Amaru Shakur, meglio conosciuto come 2Pac.

Da questa operazione, che farà piazza pulita del lavoro svolto per portare un po’ di pace nel Bronx, salteranno fuori 3 anni ininterrotti di lotte fra gang di ragazzini che non di rado si uniranno contro il loro nemico in comune: i poliziotti del 41° distretto di Polizia del Bronx,
detto Fort Apache.

Nel giro di pochi anni queste nuove gang si spargeranno in tutto il Bronx, riempiendo con i loro colori e simboli (antesignani della Street Art) le strade e disseminandole di risse, quando va bene.

La polizia e la stampa capiscono immediatamente che le gang si sono spartite il Bronx e a un certo punto arrivano a stimare che in zona ci siano almeno cento diverse gang, con almeno 11.000 affiliati, di cui il 70% portoricani, il resto afroamericani.

Naturalmente i numeri della questura sono diversi da quelli delle gang: i ragazzi affermano di essere molti di più, e con molti più afroamericani tra di loro!

I Ghetto Brothers sono una delle organizzazioni più potenti, con oltre mille membri e sezioni che arrivano al vicino New Jersey: non sono una semplice gang, ma una famiglia che si prende cura attivamente dei propri membri e organizza momenti di socialità nel quartiere per coinvolgere la popolazione, mentre cerca di mantenere pulita la propria zona da furti e spacciatori.

Sono anche i più politicizzati: molti membri sono infatti iscritti al Puerto Rican Socialist Party.

Il fatto di essere tra i più disposti a parlare di se stessi, e il fatto di organizzare anche attività sociali oltre alle loro attività ufficiali di gang, li rende presto famosi fra gli insegnanti delle scuole del Bronx che provano a coinvolgerli in attività di mediazione fra le altre gang e li prendono un po’ come punto di riferimento tra i giovani del Bronx.

Carlos Suarez, detto “Karate Charlie” e Benjamin Mendelez detto “Yellow Benjy”, sono il presidente e il vicepresidente dei Ghetto Brothers che proprio in questo periodo cercheranno di “portare la pace” tra tutte le gang giovanili.

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Yellow Benjy ad inizio anni 70

Benjy inciderà anche un album- Ghetto Brothers, Power Fuerza– e sarà il fautore del “Hoe Avenue peace meeting”, il meeting nel quale prenderà forma lo storico trattato di pace delle gang del Bronx dell’8 dicembre 1971, che sarà in parte narrato nel film “The Warriors” del 1979.

Pochi giorni prima, il 2 dicembre, un membro dei Ghetto Brothers venne ucciso durante un incontro tra gang per cercare di stilare una tregua.
Tenendo fede al loro operato, i Ghetto Brothers non solo eviteranno di vendicarsi nei confronti dell’assassino, anzi, rilanceranno creando una breve tregua.

La pace, infatti, non durerà a lungo, ma un giovane Afrika Bambaataa, presente a quell’incontro, farà tesoro qualche anno più tardi dell’esperienza.

Il disco dei Ghetto Brothers non ha mai venduto migliaia di copie fuori dal Bronx, anzi, ma ha segnato un solco importante: ha urlato che anche questi ragazzi brutti sporchi e cattivi esistevano, avevano qualcosa da dire e avevano soprattutto la voglia di farlo con i pochi mezzi a disposizione.

Se i ragazzi più grandi continuarono a massacrarsi fino all’estinzione, i più giovani videro in quell’armistizio l’occasione per creare qualcosa di nuovo, qualcosa che appartenesse solo a loro, da esprimere attraverso la creatività e non il conflitto tra bande: era nata la Street Art.

Mescolare, agitare, servire caldo: ecco a voi la Street Art

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L'invito alla prima festa Hip Hop della storia!

Questo è un biglietto di invito ad una festa, ma non è un biglietto di invito qualsiasi: è l’invito alla festa dove per la prima volta suonerà Dj Kool Herc.
Il suo vero nome è Clive Campbell ed è arrivato negli States con i genitori e sua sorella Cindy nel novembre del 1967 da Kingston, Jamaica.

È un ragazzino cresciuto nel mito dell’America vista attraverso i dischi del padre e i programmi alla TV del bar di quartiere.
È completamente diverso dai coetanei statunitensi, fa fatica ad integrarsi a causa della parlata strana e dei vestiti.

Il padre, appassionato di musica, diventa mentore di una band locale di R&B e acquista un impianto di amplificazione Shure, che più tardi permetterà a Clive di mettere in pratica una delle sue passioni: mettere dischi alle feste come nei sound system già visti in Jamaica.

Presto imparerà non solo ad usarlo, ma ad usarlo meglio del padre, tanto che lo seguirà nei concerti della band come aiuto tecnico del suono.

Nel frattempo Clive cerca in tutti i modi di integrarsi con i coetanei, va a scuola e si impegna nello sport: grazie a qualche medaglia vinta nelle gare di atletica comincia a fare qualche amicizia.

Prova anche a mettersi in contatto con alcuni ragazzi di una gang, i Cofon Cats, ma presto si rende conto che non è aria per lui, forse anche grazie ai calci in culo del padre.

Segue al limite del maniacale i disc jockey radiofonici rock e soul come Cousin Brucie e Wolfman Jack, frequenta le serate giovanili del venerdì sera presso un istituto cattolico locale e segue sua madre alle feste nelle case di amici, dove conosce musica mai sentita prima: Temptations, Aretha Franklin e il reverendo James Brown.

Assorbe un sacco di informazioni che iniziano a plasmarlo, la parlantina si modifica, si scioglie, e le frequentazioni ne guadagnano.

Nel frattempo, in tutta la città una nuova moda si inserisce tra i giovani dei ghetti, sottraendoli dalle attenzioni delle gang e dell’eroina: i graffiti.

Giovani con bombolette e pennarelli diventano una nuova avanguardia culturale lasciando in giro le loro tag, soprattutto per testimoniare la loro esistenza!

Infatti per loro non esistono gli asfissianti confini imposti dalle regole tribali delle gang, anzi ci godono a fottersene e a ridicolizzarle queste regole con il loro individualismo.
E per questo le gang imparano, se non a rispettarli, almeno a non fargli del male.

CORNBREAD aveva lanciato la palla a Philadelphia nel 1965, ma presto il movimento dei graffitari si era allargato fino a New York, tanto che nella grande mela, ad Harlem, arriverà TOP CAT, un protetto dell’entourage di CORNBREAD.
Da lì il Lettering si diffonderà rapidamente: il primo sarà JULIO 204. Il numero è la strada dove viveva all’epoca.

Ma quando, nell’estate del 1971, TAKI 183 spiegherà al New York Times che il motivo per cui passa intere giornate a scrivere in metro il suo soprannome è che “Di solito non mi sento una celebrità ma quando mi presentano a qualcuno mi fanno sentire come se lo fossi”, partirà la corsa tra migliaia di ragazzi a fare altrettanto!

LEE 163!, EVIL ED, CLIFF 159, JUNIOR 161, CHE 159, BARBARA ed EVA 62 riempiranno entusiasti tutti i muri e le stazioni della metro nella zona nord di Manhattan, la Up Town, nel giro di pochi mesi, facendosi notare proprio da chi, negli anni, li aveva confinati nel Bronx.

E tutto ciò senza alcuno scopo politico, se non quello di farsi vedere dagli altri e rubarsi il più bel pezzo di muro a disposizione.

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Il più bel pezzo di muro a disposizione a New York nel 1971

Anche il nostro Clive si cimenta con pennarello e bombolette, taggandosi CLYDE AS KOOL.
La prima metà del suo nuovo soprannome è già lì.
La seconda gli verrà affibbiata grazie al suo modo piuttosto muscolare di giocare a basket: tutti lo chiamano “Hercules”, e lui di tutta risposta chiede se il nomignolo può essere accorciato.
“Herc!” è la risposta, ed è una risposta che Clyde trova talmente geniale da unirla subito alla tag, inventando il suo soprannome definitivo: KOOL HERC.

Nel frattempo, a causa di uh! guarda un po’, un incendio alla palazzina dove vivevano, la famiglia Campbell è costretta a trasferirsi da South Bronx alla meno disastrata West Bronx.
In un primo momento al Councourse Plaza Hotel, nella 161esima, alla fine in una nuovissimo appartamento in un casermone popolare proprio al 1520 di Sedgwick Avenue.

Nel frattempo si è fatto un sacco di amici, ha molta più fiducia in se stesso e grazie all’esperienza fatta con il padre ha acquisito tecnica e metodo nel far girare i dischi sui piatti.

La magia avviene all’inizio dei ’70: James Brown, il califfo della black music nel periodo delle lotte per i diritti civili, è ormai in disgrazia, ma Kool Herc sente che quel beat ha qualcosa di unico e vibrante.

Inoltre intuisce che la fase più interessante durante una serata, quella che fa ballare di più, non è l’assolo di sax o la voce, ma la parte strumentale di basso e batteria: proprio in quel momento si scatena la danza più selvaggia.

Se quell’assolo si potesse ripetere all’infinito, ci si potrebbe fare un pezzo…
Magari dicendoci sopra qualcosa di divertente come Wolfman Jack alla radio…

Nasce l’idea che sta alla base dell’Hip Hop: il break, che rappresenta la colonna portante su cui vengono creati i pezzi, breve e coinciso come una tag!

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Dj Kool Herc a destra, Dj Tony Tone a sinistra

Torniamo all’invito del 11 agosto ‘73: è la prima serata di DJ KOOL HERC, è la prima serata dove il pubblico può andare in delirio ballando sui break, è la prima volta dopo anni che una festa nel Bronx non termina con una rissa tra gang e finisce bene!
E soprattutto viene considerato il primo DJ set Hip Hop della storia.

Da lì in poi è un crescendo: DJ KOOL HERC inizia a studiare i ballerini, accorgendosi che aspettano i break per ballare più forte, così inizia ad organizzare ancora più feste assieme alla sorella Cindy, e soprattutto sperimenta le tecniche che codificheranno negli anni a venire la musica Hip Hop.

Inventa la tecnica “Merry-Go-Round”, una tecnica che inizialmente, utilizzando due copie dello stesso disco una delle quali sempre pronta all’inizio dello stesso break, permette di allungare un assolo ritmico di batteria di 30 secondi fino a cinque minuti, e rapidamente evolve e consente di creare veri e propri pezzi strumentali sovrapponendo in sequenza più break diversi tra loro.

E inizia soprattutto ad organizzare nel quartiere delle feste all’aperto, rubando la corrente ai lampioni per alimentare il grosso ampli Macintosh da 300 watt a canale attaccato a due Technics 1100 e poi, siccome la corrente era troppo debole, direttamente dai cantieri: sono nati i block party.

Mentre le gang si squagliano come neve al sole a causa dell’eroina, le crew di DJ e i ballerini di break si fanno i viaggi per andare ai block party organizzati nel Bronx, per farsi vedere, farsi un nome e competere tra di loro non più con i coltelli ma a suon di balli e pezzi sui giradischi.

L’anima della festa sono i ballerini: arrivano a gruppi, colonizzano la pista improvvisata tra i palazzi e si scatenano su i “Merry-Go-Round” saltando da soli come dei forsennati in mezzo al pubblico.

“Herc” li soprannomina “break boys” contratto poi in “b-boys”, cioè i ragazzi che ballano la break dance.

È ufficialmente codificata la Street Art: questo ragazzo giamaicano, nel giro di tre anni è passato dalle feste nello scantinato ad organizzare eventi all’aperto nel Bronx come facevano i Sound System che vedeva a Kingston quand’era un bambino, unendo attorno a se writers, b-boys e altri aspiranti Dj.

E si è guadagnato un posto eterno nel Pantheon della Street Art.
Da qui in poi sarà un crescendo di invenzioni, idee e personaggi nuovi, ma ormai è il 1977, da adesso in poi succederanno troppe cose per poterle continuare a raccontare in questo articolo.
Alla prossima per scoprire cosa.

Stay tuned!