Ora invece introduco quello che è stato il mondo della pirateria in Italia, e molti di voi che leggete direte “Ah sì, è vero, me lo ricordo!”.
C'era una volta il ladro di film
Lo spot anti pirateria per eccellenza in Italia è nato nel 2006 in Olanda. Lo ricordiamo tutti. È quello che inizia con “Non ruberesti mai un’auto” e chiudeva con “La pirateria è un reato”.
Lo spot mostrava una serie di furti con destrezza giustapposti alle immagini di una ragazza che scaricava un film da internet.
Sullo spot ho due cose positive da dire:
1 La fotografia e il montaggio si possono porre come avanguardia, con un decennio di anticipo, del filone dei deep fried memes.
2 La musica è adatta alle immagini e incalzante.
Ho finito le cose positive.
Ora, in qualità di frequentatrice a scopo autodidattico delle pratiche di pirateria, in qualità di sociologa e in qualità di amante della musica, ho tre sassolini della scarpa da togliermi:
1 La barra di avanzamento del download del file piratato è troppo veloce: chi guardava la pubblicità nel 2006 (e per molti anni a venire) pensava “Seh, magari”.
2 La musica utilizzata per lo spot è stata piratata.
3 “Non ruberesti mai un’auto” è una affermazione non così inclusiva: le statistiche di furti d’auto disponibili quell’anno parlavano di più di 170.000 auto rubate, non proprio “un paio”.
Breve e bella storia della pirateria informatica: Capitolo 1, il primo P2P
Non parliamo di hacker, ma di pirati dei diritti d’autore, definiti come individui che attraverso strumenti informatici violano le norme sul copyright.
L’effetto della pirateria informatica è quello di poter produrre e/o diffondere copie di contenuti tipicamente audio/video (ma anche testi o altri contenuti multimediali) a prezzo bassissimo, a volte di appena pochi centesimi per il costo della connessione.
La pirateria informatica ha potuto diventare “una cosa” solo quando la diffusione delle tecnologie domestiche ha permesso di fare il salto.
I colli di bottiglia erano tre: la velocità delle connessioni, il numero di utenti in rete, la diffusione di hardware ad uso domestico.
Che fino a quando per scaricare un film ci mettevi sei giorni e solo dal pc del laboratorio del CNR, e lo potevate fare in sei in tutta Italia, lì non eri un pirata, eri un nerd di livello divino.
Possiamo iniziare a parlare di vera pirateria informatica dai primi anni 2000, e per formati strettamente audio.
Le piattaforme erano WinMX e Napster, che davano accesso ad un catalogo costituito dalle librerie degli altri utenti connessi al servizio, poiché era un sistema di scambio peer-to-peer, cioè fra le cose che avevano da offrire i tuoi compagni di pirateria.
Si poteva scaricare un file da un altro utente fino a quando questo era collegato, e nelle chat di servizio si potevano leggere frasi del tipo: “Lascia acceso il pc stanotte, ti prego, sto scaricando tutti i tuoi album dei Queen” o “Mi manca mezzo minuto per finire la canzone, non andare via!”.
Inizialmente capitava spesso di trovare il file che si intendeva scaricare solo presso un utente connesso.
Se l’utente da cui stavi scaricando il file interrompeva la connessione, si interrompeva il download, fine.
La novità di Napster stava nella gratuità delle librerie, nella loro diffusione non accentrata, e nella dimensione ridotta dei file, tipicamente in formato leggero di tipo MP3, necessaria per ridurre l’effetto dannoso del collo di bottiglia delle connessioni a bassa portata.
Capitolo 2: mi server es tu server
Il salto di qualità è arrivato in Italia con un notevole ritardo rispetto al resto dell’Occidente, per il gap digitale che si spera verrà colmato al più presto.
Grosso modo, in Italia è dal 2005 che si è riusciti a scaricare i film con un certo agio.
La tecnologia permetteva di avere abbastanza banda da mettere in download un film quando si iniziava a preparare la cena, per vederlo dopo cena con la famiglia o gli amici.
Con l’abbassamento del prezzo di quella meteora che è stato il masterizzatore, era possibile anche non vedere il film da pc, ma masterizzare il DVD e guardarlo in tv.
I più raffinati potevano cercare la versione con la migliore definizione, che però risultavano anche più pesanti in termini di megabyte, quindi più lenti da scaricare.
Lentamente e dolcemente hanno fatto capolino i primi film grossi, del peso di un giga e oltre, mano a mano che l’industria dell’entertainment metteva a disposizione i formati bluray (altra meteora, durata un po’ di più del gemello sfortunato HD DVD).
Con il miglioramento della banda è stato possibile vedere i primi film in streaming, senza l’agonia del buffering a sorpresa, che quando camminavi per strada e sentivi gridare “noooo” dalle finestre aperte della case, c’era così tanto pathos che non capivi se era per il buffer nella scena finale di Seven o se Totti aveva preso la traversa.
Le piattaforme per scaricare i film o altri contenuti si avvalgono di server che ci piace immaginare romanticamente nascosti in un capanno della taiga siberiana, fra le paludi della Florida, nello sgabuzzino di nonna Orsolina.
Ogni tanto uno di questi server viene trovato e giustiziato.
Capitolo 3: e poi arriva BitTorrent.
In realtà, BitTorrent c’è dal 2004, ma nell’evoluzione della pirateria è lo step più avanzato.
Nato dalle ceneri di Napster, riesuma e lucida il concetto del peer-to-peer e lo blinda tecnicamente e legalmente.
Invece di estrarre l’intero file da un unico utente, questo sistema ne prende un frammento di dimensione standard, per farlo uscire rapidamente, senza che la connessione sia un collo di bottiglia. Per scaricare un film in formato torrent si ottiene una sorta di lista con le istruzioni per reperire i diversi frammenti e riassemblarli nel proprio hard disc.
In questo modo non esiste nulla di illegale in transito nella rete, nessuna libreria nascosta in un server pirata, nessun ostacolo dato da computer con la connessione troppo lenta.
Con la diffusione di tutti i file e la loro frammentazione, la tragedia della disconnessione è sparita, poiché diverse copie dello stesso file possono essere usate per completare il download in caso uno dei possessori del file vada offline.
La lotta alla pirateria
Chi carica i film nei server pirata non ci guadagna, lo fa perché ha lo spirito del pirata.
Chi può guadagnarci sono gli sviluppatori dei siti che raccolgono e organizzano anche graficamente i contenuti, suddividendoli per genere, sottogenere, lingua, anno, rating, stagioni ed episodi nel caso delle serie.
Un altro che di sicuro non ci ha guadagnato è stato Fanning, l’inventore di Napster, che è stato sottoposto ad una sanzione gargantuesca di circa 300 milioni di dollari, per aver perseguito nella gestione della sua geniale e rivoluzionaria idea anche quando la Siae statunitense l’ha contattato per dirgli “Ehi fratello, ho visto il tuo lavoro, devo dire che è tanta roba, una vera genialata. Quindi ora chiudi tutto”.
Il testo originale in inglese è di poco più formale:
“Although they thought Napster had an interesting technology, its business model was a violation of their member’s copyrights. The RIAA suggested that they stop offering the music-sharing service and go through the proper channels to get permission to use copyrighted materials.” (Tratto da The History Of The Act Of Torrenting)
Ecco, la RIIA (Recording Industry Association of America, la Siae americana di cui sopra) ha fatto proprio quello che enti più agili e dall’occhio lungo non devono fare.
Cioè quello che il web marketing non deve mai fare: squalificare un’idea che funziona.
La pagina sulla pirateria informatica di Wikipedia toglie altri 100 punti a Serpeverde, e in questo testo si avvicina alla soluzione del problema:
“Tuttavia nel 2015 una ricerca di settore del Joint Research Centre della Commissione Europea ha evidenziato come la lotta alla pirateria non sia efficace, in quanto pur intervenendo sulla maggiore fonte della pirateria, nascano altre fonti più piccole e alternative, con un effetto denominato Hydra, senza che vi siano benefici apprezzabili sulla pirateria complessiva.[7].“
La soluzione per il web marketing è: va' dove ti porta la pirateria
Il web marketing ha lo scopo di influenzare le scelte di consumo degli utenti online.
Consumo è inteso come fruizione di contenuti o acquisto di beni o servizi, compresi gli abbonamenti.
Per capire come influenzare le scelte di consumo si intraprendono tutti gli step del piano di web marketing.
Ora che siamo dentro all’argomento della pirateria, caliamo il web marketing nella realtà di quello che abbiamo visto fino ad ora.
Dopo esserci slogati le mandibole a spernacchiere gli autori dello spot antipirateria e i mittenti dell’aut-aut a Napster, facciamo finta di essere professionisti orientati alla creazione di una campagna web di successo.
Analizziamo il target, che in questo caso può essere identificato con una galassia disomogenea di attori con ruoli ora sovrapponibili ora complementari.
Un po’ come per lo spot delle merendine: il target sono i bambini che devono essere ingolositi, ma anche i genitori che devono pensare di dare una cosa buona ai loro figli, e in generale tutti gli adulti che mangiano le merendine, che magari ne vorrebbero una versione meno calorica visto che non stanno più crescendo in altezza ma solo in larghezza.
Con la pirateria è lo stesso. Iniziamo a dipanare la matassa del target.
I contributori. Chi carica i film nei server passa ore, sottratte ad altri passatempi, ad occupare la banda di tutta la casa per offrire un servizio gratuito, che permetterà a tutti, anche a chi non si può permettere di acquistare i dvd o di portare al cinema tutta la famiglia quanto vorrebbe, di godere dello spettacolo del cinema.
I fruitori. Chi guarda i film in streaming lo può fare per il piacere di vedere i film gratis. A volte lo fa perché non ha un grande budget, e duecento euro al mese per saziare la sua cinefilia sono un miraggio.
Quindi accetta di perdere ore a cercare il film da scaricare, poi controlla che effettivamente si veda e che sia il film giusto (quante sorprese si possono trovare alla fine di tutta la fatica, eh?), lo salva in una cartella e quando è il momento lo guarda.
C’è poi chi magari non ha un problema di budget, ma vuole proprio vedere il Silenzio degli Innocenti, perché è un padre separato e ha promesso alla figlia che venerdì l’avrebbero guardato insieme su SKY, ma l’ex moglie ha capito male i giorni e porta la figlia di giovedì.
E allora, già ha pagato per vedere un film che però danno 24 ore dopo… vabbè, dai, lo scarico.
Il problema è anche la ristrettezza dei palinsesti che per quanto ampi vengono aggiornati con lentezza planetaria dalle piattaforme televisive.
Ci sono poi gli utenti giustamente sospettosi, che hanno anche i soldi per pagare la tv satellitare o via cavo, ma hanno saputo che il servizio clienti è inesistente e che i contratti capestro confliggono col senso del decreto Bersani (tema che ha riempito pagine e pagine di carta stampata, e non solo).
E ci sono i giovani che hanno un budget ridicolmente basso e vorrebbero vedersi qualcosa di bello, al limite anche sul telefono, pur di smarcarsi dalla tirannia della mamma che occupa una tv guardando un film e del papà che occupa l’altra tv guardando un altro film.
La clientela vuole un’offerta ampia, veloce, gratis, di buona qualità perché ora le tv sono molto più grandi di 10 anni fa.
L’agenzia di web marketing ragiona su queste informazioni dice al futuro signor Netflix e alla futura signora Prime Video che probabilmente per 10 euro al mese, senza durata minima del contratto, con un bel mix di catalogo nuovo, vecchio e originale, può fare il botto.
Anzi, quasi ci dimenticavamo dei ragazzini: facciamo che l’abbonamento si può anche fare condiviso, pagando appena un po’ di più.
Almeno all’inizio, poi vediamo: se gli utenti si affezionano si può sempre alzare un pochino il prezzo.
Ora che il target è stato individuato e raffinato, e che si è messa a fuoco un’offerta incredibilmente buona per tutti gli amanti della pirateria, dai monogami del torrent a quelli del bacio rubato in un freddo giovedì di home cinema, è il momento per il web marketing di decidere dove rendere visibile l’annuncio della grande novità.
Anzi, della gigantesca ed epocale novità, perché la pirateria sottrae decine di milioni di dollari all’anno all’industria legale.
La pubblicità di Netflix e Prime Video la si è vista in molti spazi.
Ma il vero colpo di genio è stato piazzarla come sfondo delle pagine di streaming pirata.
Sei lì che devi vederti La settima e ultima puntata della nuova serie che ti ha rubato il cuor.
Hanno appena buttato giù server, sito e probabilmente anche il cancello di casa di CB01, altadefinizione non funziona, riesci a trovare un sito che ti hanno segnalato gli amici dopo 20 minuti di chat confusionaria, arrivi nel sito ma:
Wstream non va
Speedvideo non ce l’ha più
Vkshare dà 404
Nitroflare ha già aperto più di 20 pop-up e speri che il tuo antivirus piratato valga più i minuti che ti sono costati per scaricarlo
Mixdrop ti dà speranza e si apre: la finestra del video che vuoi vedere è lì, col suo pulsante play farlocco, e sai che ti toccheranno altri 4/5 popup che ti promettono infiniti soldi e concubine.
Prima di iniziare l’ultima serie di clic-e-chiudi, noti che sullo sfondo della pagina c’è la locandina delle stagioni vecchie della tua serie preferita, e che si sono le locandine di altre serie che ti hanno consigliato.
Uh, e quel film che volevi vedere il mese scorso. E quell’altro titolo? Che classicone, te lo rivedresti volentieri. Ma cos’è questo sfondo? È la pubblicità di Prime Video. Che se hai già Amazon Prime è pure gratis…
Addio magia... ma solo per un po' – Ecco perché il web marketing e tutti noi dobbiamo ringraziare quelli con la bandiera nera.
Le entità più farraginose della preistoria della rete hanno solo saputo castigare chi aveva osato realizzare strutture migliori delle quattro miserie disponibili legalmente.
La pirateria non si è mai stancata di trovare soluzioni che piacevano di più, che performavano meglio, che costavano meno: se il tempo è denaro, un’ora spesa a cercare un paio di titoli in streaming online non è proprio zero euro, ma è comunque l’equivalente di pochi centesimi.
Se la qualità è l’obiettivo, il bluray della videoteca può essere comunque danneggiato dopo essere stato maneggiato da molti utenti prima di te.
Se la varietà dell’offerta è quello che si cerca, fare un paragone è come sparare sulla Croce Rossa.
Chi pensa che, senza i pirati, oggi ce li sogneremmo i servizi di streaming legale, ad un prezzo così basso che arriva a demotivare una larga fetta di fruitori/contributori della pirateria?
Chi riesce a capire che il web marketing non deve guardare a quanto forte la Siae sbatte la bacchetta sulla cattedra, ma deve guardare lì dove i pirati stanno spingendo la prossima frontiera, per andare progettare la campagna giusta per i prodotti del futuro?
Chi pensa che ai pirati dobbiamo infine dire grazie per essere stati il pungolo di sto ronzino sfaticato che è l’home entertainment italiano?
E chi pensa che il web marketing in fondo non sta distruggendo il lavoro dei pirati, ma che li stimoli a inventare la prossima cosa pazzesca e bellissima, sennò poi sti pirati si annoiano, invecchiano e iniziano a dire “eeeeh ai miei tempi”?
Alla prossima
PS: le risposte giuste sono io, io, io, io.