Innanzitutto, cos’è lo storytelling?
Letteralmente, è il narrare la storia.
Lo storytelling inizia proprio come la narrazione, intesa come racconto che abbia uno scopo: lo scopo può essere l’intrattenimento, la descrizione del proprio punto di vista su un evento, una qualsiasi narrazione in cui non si intenda solitamente descrivere freddamente i fatti, ma impressionare l’audience.
Il Cambridge Dictionary dà infatti come seconda descrizione del vocabolo proprio “l’arte di narrare una storia”. Non è quindi una cronaca, ma arte, un vero e proprio esercizio di oratoria che in tempi moderni ha catturato l’interesse del marketing.
Esistono chilometri di articoli accademici su quanto lo storytelling faccia marketing, incantando le persone. O almeno provandoci.
La pervasività della comunicazione e della pubblicità ha permeato anche il mondo della fiction.
Lo storytelling è stato adottato per arricchire trame e contesti.
Non si tratta di mero product placement: non è la lattina di Coca Cola che accompagna diverse sequenze in Stranger Things, né la pila di scatole di stampanti Sharp nella villa militarizzata di 28 giorni dopo o la DeLorean di Ritorno al Futuro.
Il discrimine non è nemmeno la reale esistenza del prodotto o del servizio, ma la complessità dell’universo di significati che avvolgono il marchio: il cioccolato di Willy Wonka non esiste, ma lo percepiamo reale come le Lucky Strike di Mad Man, e di entrambi i brand conosciamo molte suggestioni.
Non è una fugace apparizione, è una presenza consistente e ben connotata che ci dà elementi di riconoscibilità e che mira ad emozionare, volontariamente.
Ecco 5 esempi di storytelling indimenticabili presi dalla fiction.
IL CIOCCOLATO DI WILLY WONKA
Il marketing, se non è il mestiere più vecchio del mondo ci va vicino in molti sensi, sia temporali sia d’intento.
Non sorprendiamoci quindi nel mostrare come i tentativi di incantare il potenziale cliente non siano frutto del modernissimo ed anglofono marketing del ventunesimo secolo, ma possiamo pescare a piene mani anche dalla storie e dalle favole meno recenti.
Willy Wonka, il proprietario della fabbrica di cioccolato più famosa del mondo della fantasia, aveva un suo storytelling!
La lore viene affidata alla pubblicità, al culto del fondatore e alla visibilità degli edifici che di potevano vedere chiaramente da un imponente cancello in ferro battuto.
Gli scorci mostrano esterni solidi che, come tutti sanno, nascondono interni favolosi, leggendari, e racchiudono i segreti della Wonka Bar e delle altre delizie fantasmagoriche formato bonbon.
“Tra poco vedremo l’uomo più grande di tutti, il signor Willy Wonka!”.
La narrazione attorno all’impresario dei sogni, che descrive la sua fabbrica di cioccolato come un paradiso, un “mondo di pura immaginazione” in cui “puoi avere quello che vuoi”, è consistente e spaventosa.
Il battage all’antica che celebra il progresso con cieco ottimismo ottocentesco sta in ogni dettaglio, dall’abbigliamento stravagante del “mago” Wonka alle volute in ferro che istoriano i cancelli fino all’oro con cui è fabbricato il biglietto che dà accesso alla fabbrica.
Il grande mito di Wonka e della sua fabbrica di cioccolato viene rinarrato magnificamente e diffuso in occasione della grande cerimonia di ingresso in diretta tv.
Anche gli spettatori da casa possono vedere la folla vestita a festa che sventola bandierine di tutto il mondo davanti al luogo della magia.
I fortunati fan col biglietto d’oro già credono che l’interno sia magico e surreale, prima ancora di venire travolti dalla realtà violenta del soprannaturale.
LE LUCKY STRIKE DI MAD MAN
La narrazione ha dei limiti? Sì.
E come si possono aggirare questi limiti quando sono considerati troppo costrittivi?
Con l’arte dello storytelling si può cambiare il punto di vista o, come viene presentato in modo geniale da Don Draper nella prima puntata di Mad Man, si possono rendere ancora più stringenti per fare luce sul dettaglio, tanta luce, tutta la luce, in modo così abbagliante da oscurare le informazioni dissonanti rispetto alla bontà di un prodotto.
Nella prima puntata della serie viene presentato il caso della Lucky Strike, colosso del tabacco che si trova impastoiato dalle restrizioni sulla comunicazione pubblicitaria per il settore.
La domanda che la Lucky Strike porta all’agenzia di comunicazione è: come possiamo fare pubblicità se non possiamo più mentire negando i danni per la salute?
E la risposta della Sterling & Cooper è: diremo che il nostro tabacco non è dannoso, è tostato.
Certo, è anche dannoso e costoso, ma noi diremo così bene e forte che “è tostato” da non lasciare spazio ad altre idee nella mente dei clienti.
Perché lo storytelling viene racchiuso in una sola parola? Perché è la parola giusta!
La tostatura ti fa immaginare il proprietario della piantagione che si avvicina ai sacchi di foglie, visita gli essiccatoi, gli impianti di tostatura e prende una foglia per sfregarla fra le dita, annusarla e annuire, con una folla di operai vestiti da sottoposti post-coloniali che esultano per il sì del boss.
Fa America, tradizione, artigianato, qualità.
Ma anche gli altri tabacchi sono tostati, giusto? Giusto, ma solo l’agenzia di comunicazione della Lucky Strike lo sta dicendo adesso, e gli altri marchi sembrerà che abbiamo copiato e che siano arrivati dopo.
Lasciamo pure che gli altri si sbraccino a presentare un medico in camice, uno dei pochi che ancora resiste nel negare i danni per la salute del loro tabacco. Lasciamo che vadano avanti a presentare cliniche, camici, cose da ospedale, ambienti e parole sempre più spiacevoli mano a mano che avanza l’idea che il tabacco faccia male.
Il loro tabacco non è come il nostro: il loro tabacco fa male, il nostro è tostato.
I SOGNI IN VENDITA DELLA REKALL IN ATTO DI FORZA
In un futuro intriso di brutalismo come un vero capolavoro di retrofuturismo, ogni angolo del pianeta ma anche del sistema solare è stato esplorato e terraformato, dando il via ad un settore turistico inimmaginabile.
Parliamo di Atto di forza, film del 1990.
Nonostante l’ambientazione fantascientifica, i problemi per riuscire ad andare in ferie sono quelli di adesso e la Rekall Inc., azienda specializzata nella vendita di ricordi, si fa strada con uno storytelling vetusto e squadrato, indimenticabile, diffuso dagli schermi in metro:
“Vi piacerebbe sciare sull’Antartico ma siete sepolti sotto una valanga di lavoro?
Sognate una vacanza sul fondo del mare ma il prezzo vi manderebbe a fondo?
Avete sempre desiderato scalare le montagne di Marte ma al momento vi trovate in una valle di lacrime?
Allora venite alla Rekall Incorporated, dove potrete acquistare le memorie della vostra vacanza ideale, meno cara, più sicura e migliore di una vacanza reale.
Non lasciate che la vita vi lasci indietro: chiamate la Rekall, per le memorie di tutta una vita!”
Alla fine dello spot parte il jingle: the memories of a lifetime, Rekall Rekall, Rekall…
Le immagini ricalcano i cliché della vacanza spensierata, gli uffici accolgono i clienti mostrando cura, pulizia, un front office con la segretaria graziosa e un laboratorio con personale in camice.
La Rekall vende se stessa in una bolla incantata che pare estranea alla spigolosa realtà.
Come sempre, dietro alla pubblicità che promette bei sogni, c’è la verità di un prodotto che va a compensare desideri di potere e possesso che non si sono smarcati di un millimetro da quelli della attuale mercificazione del corpo e degli status symbol, come scopre il protagonista che va alla Rekall per acquistare il suo sogno promesso.
LA PANAM IN PROVA A PRENDERMI
“Caro papà, ho deciso di diventare un pilota della Panam, il nome più stimato dei cieli”.
Per un acrobata dell’inganno come Frank Abagnale, che non ha alcuna risorsa se non le proprie parole, ancorarsi allo storytelling già consolidato della più grande compagnia di volo americana è un assist perfetto.
Lo storytelling non viene in questo caso narrato attraverso le dirette parole della compagnia aerea, ma si respirano i suoi effetti in tutte le sequenze che viviamo attraverso gli occhi del protagonista.
La cura estetica di ogni apparizione ufficiale dei piloti, con le divise impeccabili e lo stuolo di altrettanto impeccabili hostess in tailleur ufficiale, possono spalancare le porte di banche, hotel, sartorie, solo con la forza del brand.
Essere della Panam significa non dover mai attendere, non pagare, volare gratis e avere un appeal insuperabile su tutti, dai bambini che chiedono gli autografi fino agli adulti e adulte che si girano a guardare le belle divise delle persone che si sono “guadagnate le ali”.
La Panam viene presentata come un scrigno con tutto il bello del sogno americano: stipendi da sogno, status elitario, accesso gratuito agli spostamenti di lungo raggio. In una parola, lusso.
Un lusso e una fama che fanno sì che basti una telefonata citando il nome Panam per farsi offrire una vera aula universitaria e tutto il supporto necessario per un finto reclutamento di hostess.
In particolare, proprio il momento del reclutamento delle hostess dà uno scorcio sull’aura della Panam, con tanto di carrellata di aspiranti hostess e “premiazione” finale delle 8 vincitrici, con musica dal vivo e scrosci di applausi che accompagnano i nomi delle studentesse selezionate.
Se la Panam non fosse fallita nel 1991, l’intero film sarebbe esso stesso un gigantesco storytelling della compagnia aerea, con una selezione di sequenze che presentano la compagnia sempre sotto una luce fresca, positiva, brillante.
LA SCIENZA DELLA DEDUZIONE NEL BLOG DI SHERLOCK HOLMES
Praticamente agli antipodi di tutti gli esempi precedenti troviamo il sito personale del moderno Holmes interpretato da Benedict Cumberbatch.
La versione del ventunesimo secolo dell’investigatore non si limita a far brillare l’ingegno nel suo salotto, ma lo pubblicizza, o meglio pensa di farlo, attraverso un sito web che si chiama “la scienza della deduzione”.
Qui troviamo uno storytelling fatto sottovoce, con la convinzione che cesellare informazioni apparentemente inutili faccia nascere l’interesse necessario per convocare il genio che sta dietro a quel testo online.
Nel sito, che Sherlock ritiene molto interessante e al quale erroneamente attribuisce molte conversioni (ovvero clienti che gli portano i casi da risolvere), c’è il miglior tentativo di storytelling mal riuscito nella storia della fiction.
Per provare la raffinatezza della propria scienza della deduzione, Sherlock annoia il lettore con una serie di boriosi saggi su particolari normalmente insignificanti, che però lui usa per dedurre i fatti.
Troviamo quindi scritti del calibro di “140 tipi di cenere di tabacco”, o fibre che gli permettono di dire se una cappello sia in lana, alpaca o pelo di lama.
Conosciamo l’esistenza del blog di Sherlock quando egli stesso se ne vanta, sempre in modo borioso, per venire puntualmente smorzato dai presenti.
Ad esempio, nella puntata La casa vuota, Sherlock e Mycroft si sfidano in una gara di deduzioni attorno ad un cappello di lana.
Secondo Mycroft: “È il classico copricapo delle Ande, fatto di alpaca” ma Sherlock ribatte: “No, è pecora islandese, simile ma molto diversa se si guarda attentamente. Ho scritto un blog sulle differenze tessili delle varie fibre naturali”.
La vecchia signora Hudson passa sullo sfondo, portando il tè e commentando laconica: “Il mondo ne sentiva un gran bisogno”.
Nella serie si può trovare un esempio di “cambio di gestione” nello storytelling quando le pubbliche relazioni vengono prese in mano dal dottor Watson che apre il suo blog personale ed inizia a raccontare le vere avventure di Sherlock Holmes. Allora sì che gli affari decollano!
Poter leggere le storie del detective, le trovate geniali che emergono e si sviluppano, il divenire delle indagini, le avventure che non si concludono con la scoperta del colpevole… ecco, poter sapere chi è Sherlock Holmes e come fa a risolvere i casi, questo attira il pubblico, non il trattato sui tipi di terriccio di Londra.
GLI EFFETTI DELLO STORYTELLING
Gli studi sugli effetti dello storytelling sono numerosi. Citandone solamente uno (Lundqvist e Liljander 2012) possiamo riassumere gli effetti dello storytelling in pochi punti essenziali:
- lo storytelling è una narrazione originata dall’azienda/dal marchio
- essere esposti allo storytelling migliora l’opinione rispetto al marchio
- essere esposti allo storytelling predispone a pagare un prezzo più alto per lo stesso prodotto
Alcune variabili possono migliorare o peggiorare le performance dello storytelling.
Al netto delle variazioni in più o in meno dell’efficacia, la tecnica del dare una ambientazione, una profondità, una atmosfera di riferimento da associare al prodotto resta una tecnica vincente in una grande varietà di situazioni.
L’uso dello storytelling entra nella fiction perché è un elemento che dà ricchezza e spessore alle trame, alle scene più intense ma anche al lento fluire degli eventi di sfondo.
Lo storytelling dà realtà, credibilità alla fiction, perché è un elemento del reale molto avvincente anche nella nostra vita quotidiana.
Vuoi uno storytelling su misura per il tuo brand? Contattaci e parlaci di te!
Alla prossima.